Meditazione prima:
invito divino all'umiltà
Preparazione serale
Prima di affrontare le meditazioni dove il ragionamento porrà le basi dell'umiltà, voglio contemplarla nei lineamenti di un bambino, tutto innocente, come indica il divin Maestro. C'è qui un meraviglioso abbozzo della fisionomia della persona umile: nessuna ricercatezza all'esterno, nessuna pretesa all'interno; semplicità di pensieri e di atteggiamenti che nel bambino provengono dalla natura e, per cosi dire, dalla sua felice ignoranza, ma che in me dovranno venire dalla virtù. Voglio desiderare e perseguire quell'ideale di semplicità che nel bambino è il riflesso dell'innocenza originale.
Ascoltando Gesù che insegna come è necessario diventare simili a un bambino, mediterò i tre punti seguenti:
I. la superbia è una tendenza innata e deleteria; 2. l'umiltà è una virtù riformatrice; 3. l'umiltà è fonte di favori celesti.
Il Cristo mi insegna l'umiltà nella lezione che egli diede agli apostoli e che conserva tutto il suo valore per gli.uomini di ogni tempo. Nel Vangelo leggo quanto segue:
«Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: 'Di che cosa stavate discutendo lungo la via?'. Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti”. E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me..”» (Mc 9,33-37; cfr Mt 18,1-5; Lc 9, 46-48).
I. La superbia è una tendenza innata e deleteria
Come non riconoscere il carattere innato e violento di questa tendenza, quando la si ritrova nel cuore degli apostoli, a lungo istruiti e formati da Gesù stesso alla vita di perfezione? Pur seguendo il loro Maestro, discutevano per sapere chi tra loro sarebbe stato il primo, il più vicino al Re divino nel regno dei cieli. Ognuno pretendeva il primo posto; nessuno aveva in mente di cercare l'ultimo; pur chiamati alla vera santità, non avevano ancora eliminato le aspirazioni naturali della superbia.
Questa tendenza, dopo aver provocato la rovina eterna persino di un gran numero di angeli, infetta per cosi dire la natura umana dopo la caduta originale; sta in fondo al cuore e, quando dopo lunghi sforzi la si crede sradicata, può ancora rivivere e corrompere gli atti più virtuosi. Si trova non soltanto in gente di basso livello, ma anche in anime coltivate e desiderose del bene, perfino in apostoli chiamati a continuare l'opera di Cristo sulla terra. Chi dunque non la porta in sé e non avverte il dovere continuo di lottare contro? Che in me sia innata, l' ho sperimentato anche troppo, disgraziatamente!
La superbia è funesta nelle sue conseguenze. Provoca fra gli apostoli discussioni amare; occupa e riempie la loro mente; li rende come indifferenti alla compagnia del Maestro. Oh!, allontanarsi da Gesù, privarsi della sua conversazione, fuggire i suoi sguardi! E per quali vantaggi? La superbia non produce anche in noi questi effetti: dissensi, turbamenti, affievolimento della pietà?
II. L'umiltà è virtù riformatrice
Pesiamo bene ogni parola del Salvatore: «Se non vi convertirete ... » (Mt 18,3). Non posso restare quello che sono per natura, per inclinazione innata, forse per abitudine. Devo trasformarmi: da superbo diventare umile.
Questa è una condizione necessaria, assoluta per entrare nel regno dei cieli. Senza trasformazione non ci sarà posto per me in quel regno.
«Se non diventerete come i bambini» (Mt 18,3). Bisogna rifare se stessi, quali che siano le difficoltà e le ripugnanze. Occorreranno tempo e pazienza, dato che non ci si rinnova in un sol giorno o con un colpo di bacchetta magica.
«Sicut parvuli» (Mt 18,3), ecco la parola essenziale. 1 piccoli sono il mio modello. Bisogna anzitutto che mi abbassi, che mi creda piccolo, che mi faccia piccolo e che poi agisca di conseguenza. Dunque, niente disprezzo e atteggiamenti altezzosi, niente ambizioni o ricerca di precedenze, niente preoccupazioni o turbamenti per amor proprio. Come il bambino devo essere semplice, fiducioso, docile, buono, senza pretese e artifici. Insomma, secondo l' espressione usata dal Signore, devo farmi piccolo in tutto. Oh, quale tenero invito all'umiltà!
«Non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). Questo regno, che comincia quaggiù con la grazia e si completa in cielo con la gloria, comprende i soli beni che l'anima assetata d'infinito desidera. Questo regno è la pace della coscienza, che io voglio; è la perfezione, a cui tendo; è la felicità eterna, a cui aspiro con tutto me stesso. Assicurarmi questi beni: è la magnifica missione dell'umiltà.
O Gesù, con quale tenerezza mi inviti: voglio farmi molto piccolo per entrare nei beni promessi.
III. L'umiltà è fonte di favori celesti
Principio di grandezza.
«Pose in mezzo a loro un bambino» (cfr Mt 18,2). Mettendo in evidenza in mezzo agli apostoli un bambino, Gesù gli dava il posto d'onore e spiegava il significato del suo gesto dicendo: «Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande ... » (Mt 18,4). Se la giustizia divina gli deve assicurare questo posto in cielo, è perché lo merita quaggiù; già lo occupa agli occhi di Dio.
Quanto si sbagliano i nostri giudizi. Che strani cambiamenti subirebbero le nostre classificazioni, se la luce della verità squarciasse le tenebre in cui siamo immersi!
Principio di consolazione.
«Abbracciando un bambino» (Mc 9,36). Come non invidiare la felicità di quel caro privilegiato abbracciato da Gesù e favorito dalle carezze divine? Fortunata piccolezza, verso la quale si inclina con amore la grandezza. Se questo bambino non fosse stato molto piccolo, il Salvatore non l'avrebbe abbracciato.
Io mi lamento delle mie desolazioni interiori; conosco appena il gusto delle consolazioni spirituali; Gesù non mi mette le braccia al collo e non mi stringe al suo cuore. Perché? L forse meno buono o sono io troppo grande? Si, potrebbe essere a causa delle mie pretese. Oh, allora io scelgo d'essere piccolo e d'essere amato. Tutte le soddisfazioni dell'amor proprio non valgono una carezza di Gesù.
Principio di successo.
«Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me» (Mc 9,37). Il Cristo accredita agli occhi di tutti chi somiglia a quel bambino. Dichiara che accoglierlo è accogliere lui stesso. Chi non si affretterebbe, dunque, ad aprire a Gesù la sua dimora, le sue braccia, il suo cuore? Se mi farò piccolo, quel privilegiato sarò io.
Per rendere più facile il suo insegnamento, Dio impreziosisce l'umiltà con il dono di essere simpatica. Colui che ne risplende sembra diffondere sicurezza e apertura; si sente che non disprezzerebbe e non ferirebbe mai; che parli o ascolti, mette se stesso in disparte per lasciar apparire gli altri. Quel che domanda, glielo si concede volentieri; niente in lui provoca quelle ripulse istintive che la superbia suscita.
£ quasi un irradiamento dell'anima? Un privilegio della grazia? Una fuggitiva apparizione di Gesù? Non è insieme tutto ciò? Quanto vorrei farmi piccolo per meritare tanta fortuna e tanta gioia!