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Briciole di Cielo

Il dono della fortezza

Il dono della fortezza / forza

 

Dicevamo all’inizio che ci sono tre doni che riguardano la sfera emozionale volitiva: la fortezza, la pietà, il timor di Dio. Cominciamo col dono della fortezza. Anche in questo caso dobbiamo distinguere una fortezza naturale da una fortezza infusa da Dio. E se c’è una fortezza naturale, come la forza del carattere, per affrontare le difficoltà normali della vita, c’è anche una fortezza carismatica per affrontare le difficoltà che sono proprie del cammino di fede. A questo è appunto orientato il dono della fortezza. Vediamo quale può essere qualche riscontro biblico pertinente.

In più punti e in diversi modi si dice nella Scrittura che Dio è la fortezza dell’uomo. Le citazioni potrebbero essere molto numerose: "Signore, mia roccia, mia fortezza" (Sal 18,3); "Di’ al Signore: mio rifugio e mia fortezza" (Sal 91,2). I sapienziali precisano che Dio è fortezza per l’uomo giusto: "Il Signore è una fortezza per l’uomo retto" (Prv 10,29). La forza è anch’essa una prerogativa di Dio, che però Egli non usa per imporsi, ma solo per sostenere la debolezza umana: "Prevalere con la forza ti è sempre possibile, tutto il mondo davanti a Te è come polvere… Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza… il tuo dominio universale ti rende indulgente con tutti" (Sap 11,21.22; 12,17.18). Piuttosto è Dio che infonde forza ed energia all’uomo: "Il Signore ti darà la forza" (Dt 8,18), e ancora: "Dammi forza, Signore, in questo momento" (Gdt 13,7); "Il Signore darà forza al suo popolo" (Sal 29,11). Naturalmente, come già dicevamo, non si tratta di una forza finalizzata a realizzazioni umane, bensì è quella forza di cui abbiamo bisogno per portare a compimento la volontà di Dio, spesso ardua e ostacolata da grandi impedimenti. Senza il dono della fortezza infusa, si cederebbe radicalmente dinanzi a ostacoli non di rado superiori alle forze umane, come si vede bene dalla vita dei santi, e in particolare quella dei martiri.

Dobbiamo adesso cercare di vedere, attraverso le narrazioni bibliche, in quali casi è intervenuto il dono della fortezza infusa. Il primo riferimento potrebbe essere rappresentato dal difficile ministero di Mosè. Egli non deve soltanto tenere testa all’ostilità del Faraone, bensì anche alle mormorazioni e alla sfiducia del popolo di Israele, come quando, dopo il suo primo intervento in favore degli schiavi ebrei, per tutta risposta il Faraone aumenta la misura dell’oppressione, e gli isareliti accusano Mosè e Aronne: "Il Signore proceda contro di voi e giudichi; perché ci avete resi odiosi agli occhi del Faraone e dei suoi ministri" (Es 5,21). E questa sfiducia verso di lui si ripresenterà più e più volte lungo tutto il cammino nel deserto. Perfino sua sorella Maria, insieme ad Aronne, dubiterà di lui e sarà punita da Dio per questo (cfr. Nm 12,1-3). Insomma, Mosè è colpito dall’esterno e dall’interno, eppure non si abbatte mai, anche se attraversa momenti di grandi lotte interiori (cfr. Nm 11,15). Quale forza lo tiene a galla? Senza dubbio l’infusione della fortezza soprannaturale, che lo abilita a compiere una missione non umana, e perciò dalle difficoltà non umane.

Un’altra figura che può aiutarci a cogliere l’operazione del dono della fortezza è Davide, allorché si trovò dinanzi a Golia, abile soldato filisteo. Le parole di Davide sono già l’espressione verbale del dono della fortezza soprannaturale; mentre gli israeliti fuggono dinanzi al campione Golia, Davide chiede: "Chi è mai questo filisteo incirconciso che osa insultare le schiere del Dio vivente?" (1 Sam 17,27). L’uomo giusto si sente sempre sicuro e imbattibile nei confronti di coloro che, pur arroganti o umanamente potenti, non hanno con sé la grazia di Dio. Questo stesso concetto, con implicito riferimento alla fortezza soprannaturale, è detto in Prv 28,1: "L’empio fugge anche se nessuno lo insegue; il giusto invece è sicuro come un giovane leone".

Il profeta Daniele lo abbiamo già visto nella sua grande disinvoltura dinanzi ai re di Babilonia, e soprattutto viene messa in rilievo dal narratore l’inflessibilità del veggente perfino dinanzi alla minaccia della morte. Non v’è dubbio che la fortezza dei martiri sia una fortezza non umana, cioè un dono carismatico che corrobora la capacità umana di volere un bene arduo.

Lo stesso può dirsi di Giuditta e di Ester, le quali, chiamate da Dio a una missione di salvezza in favore del popolo di Israele, affrontano delle prove e dei combattimenti del tutto sproporzionati alla loro femminilità. Evidentemente, lo Spirito di Dio ha aggiunto quella dose di coraggio e di inflessibilità che umanamente mancava al loro carattere.

Il discorso sul dono della fortezza soprannaturale sarebbe monco se non si giungesse all’insegnamento di Gesù nel NT. Il Maestro dice ai suoi discepoli che essi nel mondo dovranno portare il peso di angustie e persecuzioni per il fatto stesso di essere cristiani; per questo Dio li soccorrerà infallibilmente nel momento della prova. Questo divino soccorso nel tempo della prova è stato identificato dalla teologia spirituale con il "dono della fortezza" di Is 11,2. Rivediamo i termini dell’insegnamento neo testamentario.

Dopo avere scelto i Dodici e avere comunicato loro l’autorità carismatica di operare guarigioni ed esorcismi, Gesù rivolge loro un lungo insegnamento nel quale dice, tra l’altro, "sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia… E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire… non siete infatti voi a parlare, ma lo è Spirito del Padre vostro che parla in voi" (Mt 10,18-20). Ciò significa che i discepoli, nelle loro prove, non sono sorretti unicamente dalla loro fede soggettiva, o dalla capacità personale di sperare contro ogni speranza; i discepoli sono sorretti nel loro cammino e nei loro combattimenti da un intervento tempestivo e attuale dello Spirito di Dio, che sposta i limiti delle loro forze aldilà delle normali possibilità umane. Con maggiore dovizia di particolari, il vangelo di Giovanni riporta il lungo discorso pronunciato da Gesù nel contesto dell’Ultima Cena, dopo l’uscita di Giuda dal cenacolo. Qui il Maestro promette alla comunità cristiana la venuta del Paraclito, dopo la propria partenza da questo mondo. Lo Spirito di Verità riespone nel cuore dei credenti l’insegnamento di Gesù (cfr. Gv 14,26), diviene forza nuova di testimonianza nel mondo (cfr. Gv 15,26), dove i discepoli sono odiati come è stato odiato Lui (cfr. 15,18). L’opera lucana parla esplicitamente di una forza proveniente dallo Spirito: "avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni" (At 1,8); e prima di ascendere al Padre il Risorto così parla ai discepoli radunati: "Io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto" (Lc 24,49)

Quanto questa promessa sia vera è ampiamente dimostrato non solo dal racconto degli Atti degli Apostoli, ma anche dalla storia della Chiesa dei primi tre secoli, secoli di sanguinose persecuzioni. E i pagani si stupivano del modo di morire dei cristiani, sereno e gioioso.


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