Parte prima:
il bisogno di essere umile
Studio preliminare
La superbia come deviazione di tendenze legittime
Che cos’è l’umiltà? I teologi la definiscono come la virtù che ha il compito di mantenere nei limiti della retta ragione il desiderio della propria grandezza. San Tommaso dice che "essa rafforza la mente e le impedisce di innalzarsi oltre il dovuto". Ora è appunto la superbia che spinge l’uomo a oltrepassare il limite e l’ordine nella ricerca e nell’affermazione del proprio valore. In questo senso l’umiltà viene comunemente analizzata e descritta come antagonista e moderatrice della superbia.
Senso dì superiorità, volontà di preminenza: che la superbia sia un ricordo della nostra grandezza originale? Il suo torto sarebbe allora di non essere più al posto giusto. Re detronizzato per la propria colpa, "divinità caduta che ricorda il cielo", ancora orgoglioso nei propri stracci e nella propria miseria: così ci apparirebbe l’uomo nella sua condizione di miseria. O forse, invece di essere l’impronta di una corona perduta, che non sia la superbia il marchio della rivolta domata, il prolungamento della prima tentazione: "Diventerete come Dio"? Si tratterebbe allora di un disordine ereditario, passato nel sangue umano per intorbidarlo. Questa doppia origine spiegherebbe ciò che la superbia presenta di grande e di basso allo stesso tempo.
In realtà è più esatto vedere in questo vizio la deviazione di due sentimenti messi da Dio stesso nella nostra natura: stima di sé e desiderio della stima degli altri. La stima di sé forma da base alla dignità personale; il desiderio della stima altrui è uno dei fondamenti del vivere insieme.
Le due tendenze sono così profonde e spontanee che per un verso appartengono alla categoria degli istinti e sono simili a quello della conservazione. Hanno del resto una funzione analoga: come l'istinto della conservazione tiene l’uomo attaccato ad una vita anche misera, così l’istinto della stima di sé lo attacca alla sua personalità anche se di poco pregio, e l’istinto del desiderio della stima altrui lo attacca alla vita sociale, fosse anche minimo il vantaggio che ne ricava.
Queste due inclinazioni portano il marchio della decadenza originale e sono soggette a deviazioni tanto facili e naturali che spesso i moralisti non esitano a definirle vizi. Il peccato di superbia è in primo luogo spingere all’eccesso e al disordine la stima di sé, esagerando viziosamente il sentimento della dignità personale. Ciò conduce la persona a compiacersi oltre i limiti dei propri meriti e delle proprie qualità e a sopravalutarsi nel giudizio di sé. Ne segue che l’aspirazione a eccellere si manifesta poi in una ricerca eccessiva della stima e della lode degli altri, rendendo così viziosa un’aspirazione connessa con l’istinto di socialità. La comune denominazione di superbia viene data ai due difetti, perché tutti e due hanno per oggetto l'esaltazione del proprio io: il primo si sopravaluta ai propri occhi, il secondo si sopravaluta davanti agli occhi degli altri.
L’umiltà si oppone alle deviazioni della superbia
È necessario dichiarare guerra spietata a queste due tendenze, alla stima di sé e al desiderio di essere stimato e lodato dagli altri? Bisogna proprio mirare alla loro completa distruzione? Certamente no.
Sono forze, energie che, come le passioni (di cui le virtù morali sono moderatrici), vengono da Dio, appartengono alla nostra natura, possiedono una reale bontà e unità finalizzate al bene, se nella loro pratica sono regolate, dirette e contenute nei giusti limiti. Ora è precisamente l’umiltà la virtù speciale che si impadronisce di queste due tendenze per sostenerle nella loro vitalità legittima e proteggerle contro le deviazioni e gli eccessi a cui le spingerebbe la superbia.
L’umiltà non ha affatto lo scopo di annientare né il sentimento della dignità personale né il desiderio della stima altrui, ma di regolarli. Non li abbassa, anzi piuttosto li eleva, perché liberandoli da ogni eccesso, li mantiene nella loro forza, bellezza e utile funzione.
Dio ha messo nella natura il sentimento della stima di noi stessi per sostenere la nostra dignità personale, dandoci la coscienza della bontà delle nostre idee, della realtà dei nostri diritti, del valore delle nostre risorse. Senza la stima di sé cadremmo facilmente in quella debolezza d'animo che non sa né intraprendere compiti ardui né difendere beni ingiustamente aggrediti. È ancora la stima di sé che comunica all'esercizio del comando quel senso di autorità capace di attrarre all’obbedienza, con grande vantaggio per chi la deve eseguire.
Sotto l’influsso della stima di sé, l’anima Si eleva e ammira la perfezione cristiana, che è il vertice della grandezza personale; si innamora della gloria di Dio, che è lo scopo più alto che l’ambizione di un grande cuore possa prefiggersi.
Anche il desiderio della stima altrui è giusto e vantaggioso; è segno di considerazione verso gli altri, una specie di sottomissione al loro giudizio. Molti che i motivi soprannaturali lascerebbero indifferenti, compiono atti dì generosità e di dedizione a motivo del desiderio della stima. Parecchi devono ad esso se continuano a compiere il loro dovere o almeno se ne comprendono meglio le finezze.
La ragione non esige dunque che ci sì sbarazzi di questa tendenza, ma che la si diriga e la si regoli; anzi, quando essa è dominata da nobili sentimenti, dona alla virtù un qualcosa di più attraente, poiché ognuno ama vedere presa in considerazione la stima che offre, e si avvicina d'istinto a colui che gli procura questo godimento.
Tutto ciò che è umano conserva senza dubbio la tendenza a degradarsi, come l’esperienza dimostra abbondantemente; ma comunica anche quella spontaneità che rende l’azione più facile a chi la compie e più gradita a chi la riceve.
Il sentimento dell’onore si ricollega alle due tendenze sopra riferite. Infatti l’onore è costituito dalla stima generale; è l’apprezzamento proveniente dalla società, che detta le sue leggi e distribuisce le sue ricompense. Quantunque l’onore risieda nella mente degli altri, può regnare altresì nella nostra coscienza. Allora, più sensibili all’onore personale che ai riconoscimenti esterni, diamo meno peso alle opinioni che ai principi, e alla stima del pubblico preferiamo la nostra propria stima. Ci ritroviamo così in quella prima tendenza che ha di mira la dignità.
Il desiderio della stima altrui guarda all’onore come a un bene sociale, di cui vuole la propria parte; la stima di sé lo considera come un bene che gli spetta di diritto.
Non si può negare all’onore un felice influsso sul perfezionamento individuale e sulla vita sociale. Se si trova congiunto a principi superiori, offre loro un solido appoggio e ne riceve un’eccellente direzione; se rimane solo, conserva tuttavia qualche solidità e produce ugualmente qualche buon risultato.
Tali sono le inclinazioni alle quali l’umiltà assicura la migliore efficacia, preservandole dagli sbandamenti e dai disordini della superbia. La sua funzione propria è di regolarle, non di soffocarle; le sottrae alla presa del vizio, che altererebbe la loro bontà originale rendendole eccessive e squilibrate.
Non conoscono l'umiltà certe persone virtuose che si mettono rigidamente contro queste tendenze e le condannano senza esaminarle. Forse la loro posizione di totale aggressività è solo per evitare le difficoltà della lotta, dato che è più facile distruggere una forza che mantenerla costantemente nel suo regolare gioco. In tale reazione c’è una ristrettezza di mente, che è causa di deplorevoli deformazioni, e fonte di insicurezza e di aridità interiore; anche il comportamento esterno ne riceve un che di fittizio e di compresso che discredita la perfezione. La vera umiltà è preoccupata di non mutilare, di non annientare energie che sono buone e utili in se stesse, e che possono diventare colpevoli solo se assoggettate alle pretese dell'orgoglio.
Nel far prendere coscienza dell’ordine che si deve imporre al gioco di queste tendenze e nel permettere la realizzazione di quest'ordine, l’umiltà è verità e giustizia. In quanto verità traccia la regola di direzione; in quanto giustizia inclina ad agire conformemente alla regola. In quanto verità risiede nella intelligenza; in quanto giustizia risiede nella volontà. Ma dato che le due facoltà agiscono in modo reciproco, ogni aumento di comprensione aumenta la forza dell’inclinazione, e ogni sviluppo dell’inclinazione porta a meglio cercare e cogliere i motivi e le regole dell’umiltà.
Umiltà soprannaturale e umiltà naturale
Abbiamo detto che l'umiltà cristiana ci trasporta in pieno ambito soprannaturale: non esiste allora umiltà sul piano naturale? Certamente alcuni pagani hanno potuto conoscere e praticare un'umiltà naturale, che potremmo chiamare piuttosto modestia, e alcuni non credenti dei nostri giorni possono allo stesso modo esercitarla. Nel campo morale non si deve negare l'esistenza di virtù naturali e di virtù soprannaturali. L'umiltà non sfugge a questa duplicità. Quali sono le note distintive delle due categorie?
Virtù naturali e virtù soprannaturali hanno lo stesso oggetto: il bene; e ogni virtù ha, nell'ordine naturale e nell'ordine soprannaturale, il medesimo oggetto specifico: lo stesso genere di bene. Così l'umiltà, sia naturale che soprannaturale, regola e mantiene l'ordine in rapporto alla stima personale e al desiderio della stima e della lode altrui. Le virtù naturali compenetrano le facoltà naturali in cui risiedono, mentre le virtù soprannaturali le perfezionano e, per così dire, le completano.
Ma le virtù soprannaturali differiscono totalmente dalle virtù naturali per la loro origine e il loro dinamismo. Le prime vengono in noi per una specie di creazione che la teologia chiama infusione; virtù soprannaturale e sinonimo di virtù infusa. Dio le depone nell'anima tutte in una volta, al momento del Battesimo. Lo sviluppo di una, porta all'aumento delle altre, e tutte si perdono col peccato mortale, ad eccezione della fede e della speranza. E pure tutte insieme rivivono con la giustificazione o ritorno allo stato di grazia.
Le virtù naturali non si formano che lentamente, con esercizi numerosi e ripetuti, non si perdono che alla lunga, e un peccato mortale non le distrugge.
Strettamente parlando non si può dare il nome di 'abitudine' se non alla virtù naturale. L'inclinazione, la forza, l'abilità si accumulano a poco a poco, come avviene per un membro del corpo che si esercita in un determinato lavoro.
Per le virtù soprannaturali, l'accrescimento viene da fuori, non dallo sviluppo interno; in esse, ad un grado d'aumento, non corrisponde necessariamente un accrescimento di forza e di inclinazione.
1 teologi caratterizzano questa differenza con due espressioni classiche. Le virtù infuse, dicono, danno il semplice potere (simpliciterposse), si potrebbe dire l'attitudine. Le virtù naturali, che sono delle abitudini, danno la facilità (faciliter posse).
Facciamo un esempio. Un tessuto può essere fine o grosso, fitto o largo, e diventa porpora con uno speciale bagno. Senza cambiare natura, senza cessare di essere fine o grosso, fitto o largo, diventa adatto ad un uso più prezioso. Se un reagente chimico gli togliesse il colore, ridiventerebbe un tessuto comune.
Così la virtù soprannaturale eleva e trasforma il nostro essere, facendolo passare dall'ordine naturale all'ordine soprannaturale; comunica alle facoltà, insieme ad una particolare bellezza, l'attitudine a produrre atti soprannaturali. Non lascia inattive le forze naturali, ma le eleva, le sostiene e le completa. Le innalza all'ordine soprannaturale con la sua presenza, le completa e le sostiene con le grazie attuali che attira.
Queste grazie attuali spronano l'uomo ad un costante sforzo per utilizzare, sempre più efficacemente, ciascuna delle attitudini soprannaturali che Dio gli ha donato. Con la corrispondenza alle grazie e con la preghiera, ne ottiene una effusione sempre crescente, e sotto il loro influsso onnipotente, egli compie gli atti virtuosi con raddoppiata intensità; le facoltà si formano, si sviluppano e acquistano finalmente l'inclinazione, l'abilità e la facilità a compiere simili atti; solo allora la condizione e il valore della vera abitudine diventano un fatto acquisito.
Per applicare all'umiltà le nozioni generali sulle virtù, è necessario affermare che l'umiltà cristiana, ricevuta per infusione nel battesimo come si esprime la teologia - conferisce, giunti all'uso di ragione, la capacità di produrre atti soprannaturali che sono di un ordine e di un valore assolutamente superiori a quelli di un'umiltà semplicemente umana. Ma solo alla lunga, attraverso uno sforzo e una applicazione costante nei singoli atti di umiltà, l'attitudine si trasformerà in una vera abitudine, cioè in una seria disposizione a rinnovare quegli atti in maniera facile, spontanea ed esperta.
Per questo non si potrà parlare di progresso nell'umiltà cristiana, di santificazione attraverso di essa, senza formazione vera e senza continuità di esercizio. Una persona non sarà veramente umile che dopo aver acquisito, a forza di esercizi e di conquiste, l'abitudine a compiere atti soprannaturali di umiltà. Se le accadesse di perdere con un peccato mortale la virtù infusa dell'umiltà, quanto ha acquisito diventerebbe senza valore davanti a Dio, nullo per il cielo, ma non annientato in sé. Potrebbe sviluppare di nuovo le sue potenzialità, appena l'anima tornasse allo stato di grazia.
Le virtù soprannaturali dominano inoltre le virtù naturali anche per le illuminazioni o i motivi che le guidano. Le prime sono illuminate e dirette dalla luce della fede, dalle verità rivelate; le seconde si appoggiano soltanto sul lume della ragione. Così l'umiltà cristiana e l'umiltà umana dicono tutte e due di non esagerare nella stima di sé e nel desiderio di quella altrui; ma esse danno un valore differente a questo 'non esagerare'.
L'umiltà naturale trova il suo criterio nella ragione lasciata a se stessa. Anche l'umiltà soprannaturale lo cerca nella ragione, ma lo riceve più sicuro e più luminoso dalle verità rivelate. La decadenza originale è la triste condizione in cui ci troviamo; per fare il minimo bene sono necessarie le grazie divine: ecco qui delle verità rivelate che cambiano il punto di vista e impongono una umiltà più profonda e sincera.
Accontentarsi dei dati della ragione per stabilire la stima che si può avere di sé o desiderare dagli altri, sarebbe voler determinare in modo incompleto e insufficiente l'umiltà. Pretendere di acquisire l'abitudine dell'umiltà con le sole forze naturali, sarebbe cominciare con un pensiero erroneo e finire con un insuccesso.
La vera nozione di umiltà discende dai dogmi fondamentali, e la sua pratica completa dipende dalla grazia: realtà eminentemente soprannaturale. Un razionalista non potrebbe né averla e neppure ammetterla.
È necessario infine sottolineare che, se la pratica dell'umiltà umana ha un certo valore davanti agli uomini e merita la loro ammirazione e la loro lode, non ha invece alcun diritto, in senso stretto, ad una ricompensa da parte di Dio. Solamente l'umiltà soprannaturale è meritoria davanti al Signore. Solo essa merita, con ciascuno dei suoi atti, un accrescimento dei valori soprannaturali: grazia santificante, carità, virtù infuse, beatitudine celeste.
L'umiltà richiede una convinzione chiara
Le luci della ragione e della fede guidano nella formazione all'umiltà, mettendo innanzitutto l'intelligenza nella condizione più favorevole, che è la convinzione. Cosa importante e difficile allo stesso tempo; non la si raggiunge che attraverso un cammino diritto e coraggioso.
Non è facile determinare, neppure teoricamente, che cos'è orgoglio e che cos'è dignità personale. La cura della propria reputazione, il dovere di conservare il proprio posto o di difendere le proprie giuste idee, autorizzano dei gesti che potrebbero essere scambiati da persone mal informate come indizi di superbia. Quale razza di orgoglio, al contrario, può annidarsi in chi si sente autorizzato a pronunciare riserve simili!
Il discernimento è ancor più difficile nella pratica. Niente inganna e seduce più della superbia; si nasconde e si maschera, cresce e si estende insensibilmente; e quando si è fatta largo, la si denota appena; quando la si intravede, si è pronti a scusarla.
La superbia non ispira orrore; la sua bruttezza e malizia colpiscono meno di altri vizi. I suoi pericoli sembrano meno temibili, perché nei cristiani raramente arriva al peccato mortale, e perché pochi la portano alle estreme conseguenze. Eppure il suo influsso è così dannoso che i santi la chiamano 'radice' di tutti i mali.
È dunque necessario, per suscitare in noi un orrore che ce ne tenga lontani, formarci una convinzione chiara, capace di impressionarci; non si acquista per mezzo di considerazioni vaghe, timide o esagerate. Bisogna andare al fondo delle cose, superando le frasi convenzionali che oscurano l'argomento.
Non contiamo troppo sul valore delle nostre analisi, sulla sicurezza dei nostri giudizi. Come si è detto più sopra, è a Dio, il solo vero Maestro dell'umiltà, che bisogna chiedere la verità, tutta la verità capace di creare in noi la convinzione voluta.
L'umiltà come inclinazione e abitudine
La superbia è difficile da conoscere, ma è ancor più difficile da dominare. Le sue radici penetrano nel più profondo della natura. La sua vitalità è estrema: si nutre di poco e di tutto, e non è mai sazia. Rinasce quando la si crede morta. Per dominarla è necessario arrivare all'abitudine dell'umiltà, ad una inclinazione che ci segua tutti i giorni della vita e combatta senza posa l'inclinazione opposta, che non muore mai.
Come si acquista e si sviluppa questa felice inclinazione tanto contraria alla natura? Con l'esercizio. Atti e ancora atti: ecco il vero segreto, ecco l'imperiosa necessità. La convinzione è l'avanguardia, rischiara il cammino. Ma è la moltitudine degli atti, soprattutto degli atti generosi, che riporta la vittoria, occupando il terreno e facendovi regnare l'umiltà.
Sarà dunque lotta. Bisognerà piegarsi davanti alla volontà degli altri, diventare dolci con coloro che ci disprezzano, dire ad ogni umiliazione: 'Ben mi staI La natura si rivolterà; ma dominata da un'umiltà decisa, userà la sua forza per vincere se stessa e sarà felice di abbassarsi insieme con Gesù, esclamando come l'Apostolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14).
Nell'attesa delle occasioni che il corso della vita riserva, abbiamo, come preparazione, la risorsa inesauribile degli atti, sia interni che esterni, che possiamo imporci.
Gli atti interni (desideri, propositi, richieste, accettazioni, ecc.) possono essere nel loro insieme numerosi e intensi. L'anima può applicarsi interamente ad essi, e le meditazioni che qui vengono offerte, sono appunto destinate a facilitarne l'esercizio.
Gli atti esterni non devono essere trascurati, in quanto danno maggiore consistenza e slancio ai sentimenti. Perché non avvalersene anche durante la preghiera? La posizione curva e supplice del povero e del colpevole conviene mirabilmente alla preghiera. Battersi il petto, come il pubblicano del Vangelo, baciare la terra, prostrarsi al suolo, come se si avesse vergogna di guardare il cielo: ecco degli utili esercizi.
Questi mezzi, usati a lungo, creano poco alla volta una inclinazione o propensione da cui promanano atti sempre più facili e intensi; ottengono quella forza abituale, permanente, che dà facilità, slancio e perfino gusto; qualsiasi forza infatti ha la caratteristica di spingere all'azione e di far provare gusto e gioia nel suo libero movimento.
Entriamo dunque con coraggio in questa formazione; dedichiamoci le nostre energie; facciamo appello alla grazia e contiamo su di essa. Per diventare umili, bisogna essere convinti e risoluti, bisogna riflettere e pregare.
L'umiltà è verità
Niente incoraggia di più nell'impresa, che l'aver coscienza dell'influsso dell'umiltà sull'intero mondo dello spirito. La sfera d'influenza di questa virtù è conosciuta e apprezzata troppo poco. La vogliamo qui delineare facendo vedere come l'umiltà è verità, giustizia, trasformazione.
L'umiltà è verità e giustizia, abbiamo detto precedentemente. Ora la verità illumina tutto l'ordine intellettuale e la giustizia domina tutto l'ordine morale. C'è qui tutto l'uomo.
Qual è la verità che noi andiamo cercando? La verità sul nostro valore. Che cosa ci insegna? Che siamo delle creature, che siamo peccatori, che partecipiamo alla vita divina. Ma chi può comprendere tali parole, sviscerarne il loro senso completo?
Per capire il creato, devo prima capire il Creatore. Per conoscere il peccato, devo conoscere la dignità e i diritti di Colui che ho offeso; perché la stupenda espressione «partecipazione alla vita divina» mi dica qualcosa, ho bisogno di evocare tutto l'ordine della grazia e della gloria.
Ora da ogni parte, in questa ricerca, Dio mi si presenta in un modo direi quasi ostinato, e per comprendere me, devo comprendere Lui. Lo trovo nella mia origine e nel mio destino, nel mio essere e nel mio operare. Se tolgo da me ciò ch'è suo, mi anniento del tutto; mentre mi elevo splendidamente se accolgo tutto il bene che egli mi vuol dare.
Contrasto fecondo da cui derivano due sentimenti che si completano per costituire la mia vita spirituale: l'umiltà quando considero ciò che sono; l'adorazione quando contemplo l'Essere dal quale ho l'esistenza. Con questa doppia considerazione afferro tutta la verità; do ad ogni cosa il suo posto e la sua proporzione; entro nella più bella luce che esista al mondo: quella dell'Infinito e dell' Increato che illumina il finito e il creato
L'umiltà è giustizia
In quanto verità, l'umiltà conduce al bello; in quanto giustizia, conduce al bene. Stabilendo la rispettiva posizione di Dio e dell'uomo, la verità pone i fondamenti della giustizia; ma con l'affermazione del dovere, la giustizia fa della verità una virtù morale. Ora, il dovere si sintetizza nella universale sottomissione.
La sottomissione universale è l'accettazione di tutta la legge, la rassegnazione a tutte le pene, la fedeltà a tutte le ispirazioni. Con la sottomissione, Dio è presente in tutti i nostri atti e li riconduce a sé, realizzando così la giustizia in modo perfetto. A lui spetta l'iniziativa dell'essere necessario, a noi l'obbedienza dell'essere personale libero, ma subordinato e dipendente.
Se poi l'amore divino compenetra e infiamma questa umiltà fedele, la sottomissione universale diventa amore universale: amore di riconoscenza per il Benefattore supremo, amore di compiacenza per l'Essere adorato, amore di benevolenza per il Dio intimo che vuole ricevere qualcosa da noi, amore di zelo per la sua gloria e il suo regno sull'umanità.
Si capisce allora come la giustizia coincida con l'insieme delle virtù e perché nella Scrittura i santi siano chiamati giusti. L'umiltà spalanca la strada della perfezione.
L'umiltà trasforma
Le tendenze che l'umiltà ha il compito di regolare e dirigere, non possono proporsi delle ascensioni più alte della loro propria finalità? Sono una forza; ed ogni forza ha in sé una potenza di movimento. L'uomo blocca con dighe i fiumi e ne ricava le meraviglie dell'elettricità, luce ed energia. Così chi desidera utilizzare pienamente la potenza trasformante dell'umiltà s'impadronisce del vivo sentimento della stima personale e del desiderio ardente della stima degli altri, e orienta la loro attività verso un fine superiore. L'umiltà presenta loro i più nobili obiettivi e i più allettanti riconoscimenti; e questo sublime slancio allontana ancor più dalla superbia.
Mirabile educazione da intraprendere e portare avanti! Tutte le verità della Fede, tutti i sentimenti buoni, tutte le grazie del cielo daranno il loro contributo a quest'opera che troverà il suo coronamento nell'umiltà. Più bella che mai, questa virtù rapirà il cuore di Dio; più penetrante di ogni altra, stabilirà l'anima in una pace celestiale, in una gioia sconosciuta.
Venga Gesù Cristo, Uomo-Dio, mio Salvatore, mio amico, mio fratello; mi inondi con la luce del suo insegnamento e del suo esempio; mi elevi e mi congiunga a Sé con la potenza della sua attrazione: eccomi qui vivo della sua vita di Dio incarnato, che è essenzialmente, in ogni istante, una vita di umiltà. A quale meravigliosa trasformazione, a quale perfezione può innalzarmi l'umiltà, ispirata e resa attraente dal divino modello, sostenuta dalla sua grazia e sollevata dalle ali del santo amore!
Consigli per la buona riuscita delle meditazioni
Per condurre a buon fine la formazione all'umiltà, è importante ricavare il massimo d'efficacia dalle meditazioni e dai suggerimenti qui proposti. Per ottenere questo risultato, ecco alcuni consigli:
1°. Scegliere il tempo in cui fare queste riflessioni con più libertà e continuità. Dedicarvi un mese intero: trenta giorni non sono troppi perché tutto l'insegnamento dell'umiltà penetri la mente, perché il cuore sia impregnato di impressioni così vive e tenaci da concretare le più ardue realizzazioni di questa virtù. Alcuni, che ne sentano o no l'attrattiva, ricaveranno il medesimo vantaggio prolungando oltre il mese le meditazioni. 1 testi della presente opera, studi e meditazioni, offrono materia a riflessioni abbondanti e ripetute.
2°. È bene dare un qualche aspetto esterno a questa impresa di riforma interiore. Cominciare con una visita prolungata alla cappella o alla chiesa; nel raccoglimento, nella pace e nella fiducia, con gli occhi chiusi o rivolti al Tabernacolo dove risiede il Maestro dell'umiltà, cercare di mettersi nello stato d'animo indicato all'inizio; invocare lo Spirito Santo, Spirito di verità e di amore; fare appello alla tenerezza del Cuore di Gesù. Poi andare ad inginocchiarsi qualche istante davanti all'altare della Madonna, e pregarla di fecondare, con le sue materne benedizioni, i nostri sforzi per assomigliare di più a Lei. Pregare anche i Santi, la cui umiltà ha maggiormente colpito:
S. Francesco d'Assisi, S. Antonio di Padova, S. Benedetto Labre, S. Giovanni Maria Vianney, S. Teresa del Bambino Gesù, S. Bernardetta e altri ancora.
A tutte le potenze celesti domandiamo luce, coraggio e perseveranza.
3°. Per andare avanti con passo sicuro, bisogna camminare con posatezza e metodo, non fermarsi né scoraggiarsi davanti alle asprezze del cammino, usare tutti i suggerimenti per mettere in atto le meditazioni, alla luce della grazia che non bisogna stancarsi di chiedere. Se ci si sente impotenti a raggiungere queste alte verità e questi vertici della virtù, ci si affidi alla scienza di Dio che si manifesta ai piccoli e agli umili, e al suo aiuto, capace di far compiere cose sovrumane. Se qualche parte di questo libro restasse oscura, la chiarezza potrà venire in seguito con delle espressioni più semplici. Se in qualche momento il cuore mancasse di ardore, s'infiammerà sicuramente nell'ora voluta da Dio. Del resto, il frutto essenziale consisterà negli atti d'umiltà e nell'inclinazione a farli, piuttosto che nella sapienza delle riflessioni e nell'ardore dei sentimenti.
4°. Bisognerà tenersi in una costante atmosfera d'umiltà, particolarmente nei rapporti col prossimo. Questo clima sia mantenuto vivo durante la giornata, con frequenti aspirazioni, suggerite dall'argomento stesso delle meditazioni.
5°. L consigliabile moltiplicare gli atti esterni di abbassamento: baciare la terra, tenere la testa china, prostrarsi, parlare a voce meno alta, camminare in maniera più modesta, coltivare lo spirito di povertà.
6°. Si raccomanda anche di cercare le occasioni di umiliarsi prestando servizi, praticando l'obbedienza, mostrando accondiscendenza, e tutto ciò con molta semplicità; oppure evitando di contraddire, di discutere, di togliere la parola. Infine si accettino le pene e le contraddizioni come cose pienamente meritate