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Briciole di Cielo

Il dono della sapienza

Il dono della sapienza

 

Il settenario isaiano si apre con la menzione di questo dono. La Scrittura si riferisce ripetutamente a questo dono dello Spirito, considerandolo come necessario per conoscere Dio e il suo volere. I passi biblici relativi a questo tema sono abbastanza numerosi, e questo fatto già dimostra di suo quale importanza rivesta il dono della sapienza nel quadro della rivelazione.

Iniziamo col dire che, per la Bibbia, l’uomo non è sapiente né sono sapienti gli angeli; mano che mai sono sapienti i demoni. Infatti, "uno solo è sapiente, molto terribile, seduto sul trono" (Sir 1,6); "A Dio appartengono la sapienza e la potenza" (Dn 2,20); e Paolo dice ai Romani: "a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo la gloria nei secoli" (Rm 16,27). Con questo si intende escludere che la sapienza possa essere prerogativa di qualcuno che non sia Dio stesso. Se una creatura può dirsi sapiente, ciò è perché ha ricevuto da Dio questo dono: "Dammi la sapienza che siede accanto a te in trono" (Sap 9,4); "Dio concede a chi gli è gradito la sapienza" (Qo 2,26). Oppure perché ha ascoltato con attenzione l’insegnamento dei sapienti: "Il tuo piede logori i gradini della porta del saggio" (Sir 6,36); "Piega l’orecchio ai discorsi sapienti" (Prv 23,12). La sapienza è quindi un dono di Dio, e come tale va anche desiderata e cercata. L’uomo privo della divina sapienza, anche se completo nelle sue doti naturali, può considerarsi un nulla (cfr. Sap 9,6). Dall’altro lato, coloro che hanno ricevuto da Dio la sapienza, non sanno di averla, e soltanto la convinzione di essere sapienti è un segno certo di stupidità: "Guai a coloro che si credono sapienti" (Is 5,21); "c’è chi si atteggia a saggio nei discorsi, ed è odioso" (Sir 37,20). "E’ meglio sperare in uno stolto che in uno che sio crede saggio" (Prv 26,12). L’Apostolo Paolo racchiude sotto lo stesso rimprovero tutta la grecità pagana: "Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti" (Rm 1,22). Insomma, la caratteristica più evidente dello stolto è quella di compiacersi delle proprie parole e di appoggiarsi con ostentata ed esagerata sicurezza alle proprie idee.

La sapienza non è dunque prerogativa dell’uomo e tuttavia senza di essa l’uomo è un nulla (cfr. Sap 9,6). La ricerca della sapienza è allora un atteggiamento imprescindibile. Il presupposto perché questa ricerca possa iniziare è la consapevolezza di non possederla. Dal canto suo, la sapienza è desiderosa di donarsi e ha preparato un banchetto per nutrire coloro che la desiderano (cfr. Prv 9,5-6). A questo banchetto sono invitati tutti senza distinzione, perché l’invito risuona nei punti più alti della città (cfr. Prv 9,3), ma risponderanno solo coloro che pensano di non avere ancora trovato la sapienza e sono perciò perennemente tesi nell’ascolto e nell’apprendimento (cfr. Prv 9,4). Coloro che si credono già sapienti ascoltano ma non apprendono, mangiano ma non assimilano. Rimangono perciò sempre fermi al medesimo punto e non progrediscono oltre.

Dio si compiace di chi si decide a chiedergli la sapienza come prima e più importante ricchezza; chi cerca la sapienza dimostra già con questo di essere un saggio, anche se soggettivamente non ritiene affatto di esserlo (cfr. Sir 39,1-11). Al contrario: "Il beffardo ricerca la sapienza, ma invano" (Prv 14,6); "E’ troppo alta la sapienza per lo stolto" (Prv 24,7); "Gli stolti disprezzano la sapienza" (Prv 1,7).

Nell’AT la figura del saggio per antonomasia è quella di Salomone, figlio di Davide. Prima di ascendere al trono, egli si ritira in preghiera nel tempio di Gabaon e si rivolge al Signore con queste parole: "Concedi al tuo servo un cuore docile che sappia rendere giustizia al tuo popolo" (1 Re 3,9). La narrazione continua dicendo che al Signore piacque che Salomone avesse chiesto la saggezza nel governare e non avesse chiesto gloria, ricchezza e potenza o la morte dei nemici. Però, dal momento che Salomone ha chiesto la chiesto la cosa più importante, Dio gli garantisce anche le cose che lui non aveva chiesto: gloria, ricchezza e potenza. Gesù riaffermerà ancora una volta questa verità per tutti i suoi discepoli, dicendo: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in aggiunta" (Mt 6,33). Si tratta perciò di saper colpire il bersaglio più importante. Nella stessa preghiera con cui Salomone chiede la saggezza, dimostra già di essere saggio, perché capace di distinguere il meglio dal bene. Tra i doni di Dio, la sapienza è il più prezioso: "Vale più scoprire la sapienza che le gemme" (Gb 28,18); "Meglio possedere la sapienza che l’oro" (Prv 16,16); "Preferii la sapienza a scettri e a troni… preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta il suo splendore. Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni" (Sap 7,8.10-11). Il dono della sapienza procura tutti i beni, ossia il bene per eccellenza che è l’amicizia di Dio: "Sebbene unica la sapienza può tutto, attraverso le età entrando nelle anime sante forma amici di Dio e profeti. Nulla infatti Dio ama se non chi vive con la sapienza" (Sap 7,27-28). Stando così le cose, la sapienza va cercata al di sopra di tutto, e la prima via di ricerca è la preghiera: "Ricercai assiduamente la sapienza nella preghiera" (Sir 51,13; cfr. anche Sap 9,1-18, dove è riportata la preghiera di Salomone). La seconda via di ricerca è l’ascolto dell’insegnamento biblico: "Ascolta, figlio mio, e sii saggio" (Prv 23,19); "L’insegnamento dei saggi è fonte di vita" (Prv 13,14); "I più saggi tra il popolo ammaestreranno molti" (Dn 11,33); "Tendi l’orecchio e ascolta le parole dei sapienti" (Prv 22,17). E si potrebbe continuare ancora indefinitamente. La terza via di ricerca è la meditazione: la Scrittura è piena di esortazioni a leggere la Parola di Dio con attenzione e a riflettere su di essa assiduamente; tale esortazione è rivolta a tutti senza eccezione, ricchi e poveri, re, grandi della terra, o cittadini comuni. L’insistenza su questo tema è molto frequente, come si evince da alcune citazioni tra le molte possibili: "Medita giorno e notte il libro di questa legge" (Gs 1,8); "Tutto il giorno vado meditando la tua legge" (Sal 119,97); "Medita sempre sui comandamenti del Signore" (Sir 6,37); "Il saggio mediterà sui comandamenti di Dio" (Sir 39,7); "Il re leggerà tutti i giorni la copia di questa legge" (Dt 17,19); "Maria meditava tutte queste cose nel suo cuore" (Lc 2,19). Non occorre aggiungere altre citazioni, che peraltro potrebbero ancora moltiplicarsi. Il senso è chiaro: Dio vuole che l’uomo legga e mediti la Scrittura assiduamente, di giorno e di notte. Si vede che la presenza della Parola di Dio nella mente umana è una luce: "I comandi del Signore danno luce agli occhi" (Sal 19,9), ma è anche una potenza di guarigione: "Non li guarì né un’erba né un emolliente, ma la tua Parola, Signore, che tutto risana" (Sap 16,12).

Ci possiamo chiedere adesso quali sono gli effetti che la sapienza produce in colui che la riceve da Dio. L’AT presenta delle figure di uomini che hanno ricevuto il dono della sapienza in misura eminente; si tratta di Giuseppe, figlio di Giacobbe, di Daniele, il veggente, e di Salomone, figlio di Davide. L’esame della loro personalità, attraverso le narrazioni bibliche, può in buona parte rispondere al nostro interrogativo di partenza.

Giuseppe, figlio di Giacobbe, è il protagonista di una storia drammatica e meravigliosa insieme. Il libro della Sapienza parla di Giuseppe in questi termini: "La Sapienza non abbandonò il giusto venduto, ma lo preservò dal peccato. Scese con lui nella prigione, non lo abbandonò mentre era in catene, finché gli procurò uno scettro regale… e gli diede una gloria eterna" (Sap 10,14). In poche battute è così sintetizzata la sua storia: venduto dai fratelli, accusato ingiustamente imprigionato essendo innocente, innalzato nella gloria come viceré di Egitto. Giuseppe, dal canto suo, aveva avuto una precognizione del suo futuro in due sogni fatti da bambino (cfr. Gen 37,5-11).

In questa storia dobbiamo cogliere i segni dell’opera del dono della sapienza concesso a Giuseppe. Il primo elemento che va notato è la precognizione del proprio futuro, ossia della propria posizione nel disegno di Dio. Possiamo scorgere questa luce sapienziale nella vita di un altro Giuseppe, lo sposo della Vergine Maria, che riceve nella notte una cognizione sapienziale della volontà di Dio, fino a quel momento sconosciuta per lui. Senza questa luce soprannaturale, Giuseppe avrebbe agito da uomo giusto, ma sarebbe uscito dal disegno di Dio, rimandando in segreto la sua fidanzata. In questo senso dobbiamo parlare del dono della sapienza, come quella luce che ci porta a conoscere la nostra posizione nel disegno di Dio, vale a dire: la nostra vocazione specifica. La scoperta della propria vocazione e del posto che Dio ci ha assegnato nella vita della Chiesa è segno certo che il dono della sapienza ha operato in noi.

Un’altra manifestazione dell’atteggiamento sapiente di Giuseppe consiste nel fatto che tutte le sue opere sono compiute con grande perfezione. Egli non è mai svogliato o superficiale nel compimento dei suoi doveri. L’uomo saggio è sempre così. Affidare all’uomo saggio un servizio è lo stesso che mettere un tesoro in cassaforte. La sua credibilità e la sua affidabilità sono assolute. Quando Giuseppe arriva in Egitto con la carovana di ismaeliti, viene venduto di nuovo a un ricco signore di nome Potifar. Giuseppe si dimostra così preciso e perfetto nei suoi lavori, che da schiavo diventa amministratore dei beni di Potifar (cfr. Gen 39,3-4). La moglie di Potifar aveva messo gli occhi su Giuseppe, ma senza nessun risultato. E qui si vede un’ulteriore caratteristica dell’uomo saggio: è un uomo casto, non soggetto alle passioni dell’io inferiore. La sapienza infatti sta lontana dai disordini passionali (cfr. Sap 1,4). Proprio per le accuse ingiuste della moglie di Potifar, che così si vendica del fatto di essere stata respinta, Giuseppe finisce in carcere. Lì si svela presto la sua statura morale, "così il comandante della prigione affidò a Giuseppe tutti i carcerati, e quanto c’era da fare là dentro, lo faceva lui" (Gen 39,22). Ancora una volta, l’assoluta affidabilità dell’uomo saggio non può restare nascosta. Dio viene in aiuto a Giuseppe, dandogli anche una sapienza di ordine carismatico. Egli interpreta il significato dei sogni di due compagni di prigione e, successivamente, verrà chiamato a svolgere lo stesso compito per il Faraone, turbato da due sogni strani, che i suoi maghi non riescono a comprendere. Giuseppe scioglie l’enigma e viene costituito amministratore di tutto l’Egitto dal Faraone: "Poiché Dio ti ha svelato tutto questo, nessuno è più saggio di te. Tu stesso sarai il mio maggiordomo e ai tuoi ordini si schiererà tutto l’Egitto: solo per il trono io sarò più grande di te. … senza il tuo permesso nessuno potrà alzare la mano o il piede in tutto l’Egitto" (Gen 41,39-44).

La saggezza di Giuseppe si manifesta però in tutta la sua grandezza, quando i suoi fratelli si recano in Egitto per acquistare il grano e si prostrano davanti a lui senza riconoscerlo, peraltro Giuseppe parla loro in lingua egiziana mediante un interprete, ma li capisce quando parlano in ebraico tra loro. Si realizza così il sogno della sua infanzia: i covoni dei fratelli si prostrano davanti al suo. Giuseppe si mostra duro con loro e li accusa di essere spie incaricate di scoprire i punti deboli del paese, mentre i fratelli interpretano questa durezza come un castigo di Dio per il loro antico peccato: "Si dissero l’un l’altro: certo su di noi grava la colpa nei riguardi di nostro fratello… per questo ci è venuta addosso questa angoscia" (Gen 42,21). Non sapevano che Giuseppe li capiva. Allora egli si allontanò da loro e scoppiò in pianto (cfr. Gen 42,24).

Alla fine Giuseppe si fa riconoscere e la famiglia si riunisce presso di lui. L’ultimo atto della sapienza di Giuseppe è la rilettura della sua vita tormentata in chiave di salvezza. Specialmente dopo la morte del padre Giacobbe, i fratelli di Giuseppe cominciano a temere la sua vendetta, credendo che era per rispetto al padre che lui si era trattenuto. Perciò, gli mandano a dire: "Tuo padre, prima di morire ha dato quest’ordine: perdona il delitto dei tuoi fratelli. Ma Giuseppe disse loro: Non temete. Se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso" (Gen 50,15-20).

Le parole di Giuseppe contengono qui una profonda teologia. La sua sapienza lo porta a rifiutare l’atteggiamento infantile di chi si piange addosso. E lo conduce a cogliere la difficile verità della pedagogia di Dio, che lo ha guidato per vie incomprensibili e aspre. Ma per un fine alto e buono. Si ha qui anche il primo barlume della sapienza della croce: Dio non affligge mai per il gusto di affliggere; certamente non lo farebbe, se la gioia e il frutto di bene che ne derivano non fossero sensibilmente maggiori. Giuseppe, negli anni della sua maturità, è in grado di rileggere la propria esperienza di dolore e di rifiuto, la propria vita di uomo respinto e perseguitato, senza sentire più alcuna ferita, e ciò perché la luce sapienziale che invade la sua mente, gli dà di comprendere che i dolori della vita, vissuti nel e col Signore, distruggono nell’uomo solo ciò che deve essere distrutto, in modo tale che ciò che sopravvive è sempre la parte migliore e più eletta della personalità. Così nascono i santi: fioriscono sulle ceneri del proprio uomo vecchio, distrutto dai dolori della vita, accettati con amore, senza mai pensare che Dio ci abbia colpiti per capriccio o per arbitrio. Dopo molti decenni di paziente attesa, però, splende la verità della divina pedagogia, troppo alta per essere compresa da noi prima che tutto si compia. Sono i giudizi rapidi che ci portano fuori strada. Giuseppe ha valutato il senso globale della sua vita, ma solo alla fine, quando il disegno di Dio a suo riguardo si era ormai quasi del tutto compiuto. Tocchiamo qui un’altra caratteristica dell’uomo saggio: la lentezza nel pronunciare giudizi definitivi sull’opera di Dio e l’attesa di ciò che Dio farà domani.

Altri aspetti dell’agire del saggio provengono dalla figura del veggente Daniele. Osserviamo intanto il distacco dagli onori e da ciò che umanamente procura la stima del prossimo. Daniele viene chiamato a corte per interpretare una misteriosa scrittura comparsa sulla parete; il re Baldassar chiama tutti i maghi del suo regno ma nessuno riesce a leggere e decifrare quella scritta. Infine si rivolge a Daniele: "Mi è stato detto che tu sei esperto nel dare spiegazioni e sciogliere enigmi. Se quindi potrai leggermi questa scrittura sarai vestito di porpora, porterai al collo una collana d’oro e sarai il terzo signore del regno. Daniele rispose al re: tieni pure i tuoi doni per te, tuttavia io leggerò questa scrittura al re e gliene darò la spiegazione" (Dn 7,16-17). Il saggio non è quindi sedotto dalla gloria umana, perché la sapienza è già un abito regale che lo riveste in modo più prezioso di quanto non possano le umane onorificenze. L’uomo saggio è abbellito in modo soprannaturale dalla sua stessa dignità e statura morale, perciò non è bisognoso di altri riconoscimenti, da lui considerati tutti inferiori alla ricchezza spirituale già posseduta.

Nella figura di Daniele il saggio si presenta anche come un uomo di preghiera. Daniele prega molto. Soprattutto nei momenti difficili. Quando, ad esempio, Nabucodonosor, adirato coi maghi del suo regno colpevoli di non avergli fornito la spiegazione autentica di un suo sogno, decide di metterli a morte, Daniele interviene per evitare lo sterminio e prega tutta la notte. Così, in una visione notturna Dio gli svela sia il sogno del re sia la sua spiegazione autentica. Questo fatto placa l’ira del re (cfr. Dn 2). Al cap. 6 si dice inoltre che Daniele era solito pregare tre volte al giorno rivolto verso Gerusalemme, lodando Dio (cfr. v. 11). La luce sapienziale si ottiene in sostanza nel contesto della preghiera. La sapienza è data a chi prega.

Un’altra caratteristica del saggio, molto evidente in Daniele, è il rifiuto del servilismo verso i potenti. Daniele si dimostra perfino disposto a morire, pur di non adorare il potere umano come se fosse una divinità. A Nabucodonosor, che gli impone l’adorazione di una statua, dice insieme ai suoi compagni: "sappi che il nostro Dio può liberarci dalla tua mano, o re. Ma anche se non ci liberasse, sappi che noi non serviremo mai i tuoi dèi" (Dn 3,17-18). La dirittura di coscienza è assoluta, inflessibile dinanzi all’autorità umana. Per il saggio, l’autorità umana perde ogni valore, quando è esercitata contro la verità e contro il bene.

La terza grande figura di uomo sapiente, nell’AT, è il re Salomone. Anche in lui possiamo notare taluni aspetti della sapienza che vanno senz’altro sottolineati. Ritorna a questo proposito il tema della preghiera: Salomone è un uomo di preghiera, anzi, è colui che edifica e consacra il luogo di preghiera per Israele, costituendo il centro ideale della spiritualità del popolo eletto. Salomone, così come farà anche Gesù nel suo ministero pubblico, affronta tutte le circostanze più cruciali della sua vita con la preghiera. Dopo la morte di Davide, il suo governo ha inizio con una notte di preghiera nel tempio di Gabaon (cfr. 1 Re 3,4ss) e più avanti è descritto mentre prega (cfr. 1 Re 8,22ss); e poi compare anche nell’atto di intercedere in favore del popolo (cfr. 1 Re 8,30ss). Il libro della Sapienza riporta pure una preghiera attribuita a Salomone, per ottenere da Dio la luce del discernimento (cfr. cap. 9). Nella visita della regina di Saba viene fortemente sottolineata questa caratteristica di Salomone, possessore di un acuto discernimento: "La regina di Saba si presentò a Salomone e gli disse quanto aveva pensato. Salomone rispose a tutte le sue domande, nessuna ve ne fu che non avesse risposta o che restasse insolubile per Salomone" (1 Re 10,1-3). Dopo che lo ebbe ascoltato, la regna concluse: "Beati i tuoi uomini, beati questi tuoi ministri che stanno sempre davanti a te e ti ascoltano" (1 Re 10,8). E possiamo anche comprendere, a questo punto, la profondità del rimprovero di Gesù ai suoi contemporanei: "La regina del Mezzogiorno si alzerà, nel giorno del giudizio, a condannare questa gente: essa infatti venne dalle più lontane regioni della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Eppure, di fronte a voi sta uno che è più grande di Salomone" (Lc 11,31). Nell’ultimo giorno non sarà dunque Dio a biasimare chi ha avuto la salvezza a portata di mano e non vi ha attinto la propria liberazione: saranno gli antichi, i quali hanno affrontato grandi sacrifici pur di avvicinarsi solo a un riflesso di quella luce che in Cristo splende in tutta la sua pienezza (cfr. Ap 1,16).


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